E’ l’ora di sognare, probabilmente. Ma qui non abitano necessariamente gaiezza e ventate retoriche, perché tutto pare ingrigirsi tranne la speranza assieme a smarrimenti, un senso largo di pietas, indugi su un’ora immobile. E occhi spalancati che guardano bassi orizzonti, spalmati di tutta una serie di sentimenti sottili affidati alla sonorità del tempo e poi simboli di una ricerca che ha lo spessore dell’aria e la trasparenza della fonte primigenia e ancora scorci che profumano di mare, case inerpicate, angoli segreti, pietre del cuore, malie delle Cinque Terre. Così Lolita Coli parla del Darfur tinto di tragedie e di sopravvivenze, s’innalza nella meditazione di un punto zero da cui tutto ha origine, raffinatamente illude e conquista con i luoghi che le sono cari. Grafica d’autore, come in poche altre e rare occasioni. Perché esperienza, ricerca, studio e genialità si intrecciano in uno spartito dalle cento note. Scontato che l’opera generi risposte sempre diverse fino a divenire uno specchio dell’anima: qui la pagina richiede attenzione sovrana, il tratto si unisce al gioco sapiente della luce e dell’ombra, ai gorghi cadenzati, alla geometria arcana, al presente, alla vita che viene e alla vita che va proprio come la goccia di Leonardo nell’osservare il capriccio della corrente. Tre temi racchiusi in un inserto di meditate e riposte solitudini accompagnate da quel senso di astrazione, o meglio di lettura personale, che diventa patrimonio intimo, denuncia e rappresentazione, realtà superata di getto a tutto vantaggio di un itinerario di tacite armonie perché autonomo, fatto di rumori delle stelle, grida e invocazioni, sciabordio di pensieri. E di ricordi, che sono anima e fulcro di una scrittura tesa, convinta, potente, perfino magistrale. Eccessi? No, basta osservare. Anzi guardare esteticamente.