Ennio Boccacci – Oltre… Osmosi Cromatica

Nel segno e nel colore fioriscono il senso dell’esistere, l’ala battente dello spirito, la regola alchemica per colloquiare con l’infinito. E’ un codice mai scritto, quello di Ennio, teoremi non spiegati, per questo affascinanti e spesso tramutati in dolorose scoperte di sé, attuati dall’artista con uno straordinario sforzo di conoscenza: un interrogarsi assiduo, il silenzio che diventa conquista, rifugio, esaltazione perfino, quando nella voglia d’isolarsi si indica un itinerario di schietta introversione. Inutile e retorico diventa il tentativo di leggere tra le pieghe più intime del pensiero e quel che appare in superficie si trasforma in un’invocazione dipinta anche se il tema sembrerebbe a prima vista appartenere ad altre regioni della razionalità e della memoria. La tavolozza, la predilezione per un colore piuttosto che un altro segna in Boccaci un periodo di tempo definito, una stagione dell’anima che si trasforma in una confessione trepida e in un porsi domande che non esigono risposte improvvise. Verranno, certo. Distillate con il crogiolo che trasforma il metallo vile in oro. Nel suo operare di anni, anzi di decenni, emerge la costante del blu, poi sostituito dal rosso, a sua volta superato dal bianco. Nessuno di questi, però, si fa imprigionare in categorie. I colori sono lunatici, hanno una storia che varia di continuo, sono stati disprezzarti ed esaltati per mille motivi diversi, religiosi e sociali soprattutto. Così l’autore ha scelto la scala di valori e di gradimento che esiste anche nella realtà. Il primo è il colore del ricordo, il secondo dell’orgoglio, della passione, dell’amore e del sangue, con l’intromissione dell’indaco dalla lontana origine nell’America centrale e nelle Antille, l’ultimo è la luce, l’innocenza, la purezza. Il che non significa di necessità che Ennio abbia assunto questi paradigmi, che li abbia padroneggiati così, integralmente. Sicuro è invece il contrario, l’esigenza del rappresentare attingendo solo in parte dalla realtà e parecchio dal fitto intervallarsi di studi, reazioni, convincimenti, idealità. Figure, le sue, che sono simboli della vita, di stagioni e turbamenti, figure certo descritte da una sintesi sovrana, un tratto nitido e sinuoso, al bando la linea retta che significa conclusione a dispetto di un viaggiare nell’infinito tutto, di un errabondo cammino tra le stelle. Parlare di forma, insistervi sopra pare riduttivo. Il pittore è nel suo universo, in una scrittura che si è costantemente evoluta fino a raggiungere una tensione densa di significati e un fraseggio percettibile da menti allenate. Ecco la riduzione del contingente, ecco il sussurro, il riaffiorare di una sensibilità sgranata, la figura (là dove ancora esista) che dichiara una seconda appartenenza, alla costellazione composita della nostalgia. Tra fiumi di colore e meteore scintillanti, appare un frasario fervido, pagine che non desiderano aggiunte che potrebbero se non disturbare, almeno alterare il significato profondo. Appunto: parlando poco, forse neanche una parola.

Mimmo Coletti